LA MISURA
Claudia Pariotti, Agenzia Radicale
«Il fantoccio di Italo, interpretato da un pupazzo animato dallo stesso Marco, che lo segue in tutti i suoi movimenti ed in tutte le sue emozioni, ci regala qualche singhiozzo di leggerezza in un’opera inchiodata sul vuoto che lascia il passaggio della morte.»
Rita Felerico, Comunicati Cultura
«Significativo l’intreccio della prosa e dell’azione drammaturgica con un teatro di marionetta (particolarmente bravo Marco Montecatino nell’animare e vestire la marionetta Italo); a momenti di riflessione si succedono momenti di tragica ironia, riportati anche da un linguaggio giovanile dove riecheggia il rap, nella musicalità delle parole e nei gesti a danza. Richiamo realizzato con raffinata sensibilità teatrale, che non rompe il ritmo linguistico ma che segna invece un significativo momento di unione fra un passato e un presente, fra un ieri e un oggi.»
Valentina Siano, Eroica Fenice
«La misura è uno spettacolo semplice, scarno nella scena eppure estremamente complesso nella sua costruzione, nella struttura così come nel contenuto. Luci, musica, parole in rima, spettacolo di marionette, dialoghi e monologhi: questo è La misura.»
Claudio Finelli, Corriere Spettacolo
«La Misura è un commovente e intenso lavoro drammaturgico di Eduardo Di Pietro che, oltre ad essere autore del progetto ne dirige la messinscena in maniera fluida e puntuale, una messinscena particolare e originale, pensata per una marionetta ibrida a grandezza naturale – eccellente opera di Barbara Veloce – e due bravissimi attori/animatori, Martina Di Leva e Marco Montecatino, quest’ultimo in grado di coinvolgere e dettare ritmo allo spettacolo con le frequenti apprezzabili esecuzioni di brani rap.»
Valentina V. Mancini, TeatroeCritica
«Davanti a emozioni alterate da un eccesso di dolore, la razionalità (o la misura) non è sufficiente, ed Eduardo Di Pietro sa che per fronteggiare quel tipo di dolore bisogna abbandonare sé stessi allo stato di bambini. Italo diventa una marionetta (di Barbara Veloce), come un talismano; ad animarlo c’è Marco Montecatino, che ha perso la sua migliore amica a soli trent’anni: attraverso la storia di Italo, cerca di affrontare la propria. »
Roberta D’Agostino, MyDreams
«È evidente che sia uno spettacolo studiato, frutto di un lavoro di squadra in cui tutti i tasselli vanno a posizionarsi nel modo giusto e creano un insieme di gran qualità che lascia lo spettatore ricco di emozioni.»
CONSEGNE
Una performance da coprifuoco
Alessandro Toppi, La Repubblica Napoli
«Così avvenendo Consegne diventa la prima (e al momento unica) esperienza teatrale in grado di riproporre una compresenza corporea non totalmente mediata da uno schermo. Non solo: testimonia la capacità che il teatro ha di camuffare la propria forma, e la propria sostanza, adattandole alle mutate condizioni del reale, ne dimostra l’ostinazione - o meglio: l’incapacità di arrendersi all’inesistenza - riaffermando nel contempo il grumo irrinunciabile di quest’arte ovvero la messa in relazione, emozionale ed epidermica, che avviene tra un essere umano e un altro essere umano.»
Elisabetta Pedata Grassia, XXI Secolo
«Il teatro si reinventa, si trasforma e va incontro al pubblico, attraverso unʼesperienza di contatto diversa, intima, personale pur rispettando tutte le norme anti contagio vigenti.»
Pina Stendardo, Il Monito
«Nel suo percorso naturale, Consegne - Una performance da coprifuoco diventa un processo artistico di iniziazione e purificazione, fatto di significati profondi che emergono dalle molte metafore cui dà lettura più profonda il pensiero del rider-attore.»
Daniele Marino, Campania Like
«Questa di Kepler e Collettivo LunAzione più che vederlo come il futuro dello spettacolo, altri prima di loro hanno portato e stanno portando il teatro per le strade “consegnandolo” al pubblico, bisogna vederlo come un vivace richiamo clandestino che ci fa riappropriare del senso più semplice dello spettacolo dal vivo ovvero l’incontro tra chi racconta e chi ascolta, chi agisce e chi osserva, tra chi immagina mondi e chi grazie a quei mondi tenta di sognare un poco in più.»
Silvia Barbato, Differentemente
«Consegne è una metafora dalle molteplici sfumature. Ci mette in relazione con noi stessi e poi in relazione con l’altro. Pone l’attenzione sulle nostre emozioni e poi allarga la lente permettendoci di vedere i Sentimenti degli altri, aprendo così uno spazio empatico.»
Donatella Gallone, Il Mondo di Suk
«Tra la soglia e la strada, nel silenzio, ci sono le infinite possibilità, se ci si potesse incontrare all’interno della casa, in un invito impossibile, dettato dalla distanza necessaria. A rompere il silenzio, un grazie. Mentre la consegna s’incide nella memoria.»
Renata Savo, Scene Contemporanee
«Quante possibilità sono implicite in quell’incontro, tra il rider e la persona che riceve il dono? L’intera performance viaggia nel tentativo di trovare risposte a questa domanda, diventa l’essenziale-che-ora-ci-manca, ovvero un dialogo tra due persone che non si sono mai incontrate e che, se fosse data loro la possibilità, lo farebbero una seconda volta, magari proprio a teatro, seduti di fianco o davanti all’ingresso degli artisti dopo uno spettacolo.»
Stefano de Stefano, Il Corriere del Mezzogiorno
«Dal teatro dei sensi al teatro delle domande, rivolte direttamente al pubblico, in un dialogo imprevedibile, che suscita emozioni e scava nella memoria affettiva di ognuno, non consentendo drammaturgie ingessate. [...] Lo spettacolo di Kepler-452, interpretato da Cecilia Lupoli e diretto da Eduardo di Pietro, ha frantumato tutte le sicurezze della relazione scena-platea, facendo della chiusura delle sale l’occasione per un ripensamento del fare teatrale che ha centrato l’obiettivo.»
Sara Borriello, Napoli a Teatro
«La performance è particolarissima nella sua attuazione e totalmente immersiva per lo spettatore. Molto accurata nei dettagli e nella metafora che porta con sé. È uno spettacolo che ci ricorda quanto possa mancare il teatro, nella sua essenza. Nel suo essere specchio, soprattutto adesso che è più difficile entrare in contatto con sé stessi.»
Alessandra Del Giudice, NapoliClick
«La rider attrice Cecilia per un tempo sospeso dal vuoto inquieto che stiamo vivendo tutti, con i suoi profondi, espressivi e sorridenti occhi scuri è specchio e abbraccio, è infanzia e sogno, è nostalgia e speranza. Il piccolo viaggio che compiamo insieme a lei ci fa vedere la nostra città con altri occhi, è un percorso nel tempo oltre che nello spazio di questo anno che si sta chiudendo al buio di un ormai innominabile Covid, in cui i momenti di luce risplendono come stelle e ci danno il senso di ciò che è essenziale e per questo vanno conservati come pietre preziose. Consegne può essere, se volete, uno di questi momenti. Lo è la sorpresa del citofono che suona e va all’unisono con la cadenza del cuore bambino.»
Massimo Roca, Il Mattino di Avellino
«Un modo concreto per appoggiare il mondo della cultura e sostenere una realtà teatrale giovane e indipendente in un momento difficile per tutto il comparto dello spettacolo dal vivo.»
IL COLLOQUIO
Premio Scenario Periferie 2019
Paolo Verlengia, Teatrionline
«Oggi celebriamo il Collettivo Lunazione, perchè uno spettacolo perfettamente riuscito è un evento raro, prezioso, divinatorio, capace di connessioni dimensionali pur senza mai rinnegare la sua matrice terrenale.»
Stefano Casi, Teatro&Critica
«D’altra parte il rapporto tra realtà e finzione entra in pieno anche in Il Colloquio del Collettivo LunAzione (vincitore del Premio Scenario Periferie), dove l’apparente semplicità e tradizionalità dell’impianto scenico e drammaturgico nasconde ben altri trabocchetti. Qui tre donne sono in fila per entrare a visitare i rispettivi mariti o congiunti nell’ora di colloquio in un carcere. Ma realtà e finzione sono immediatamente relativizzate nel momento in cui gli interpreti sono maschi (quasi a voler interiorizzare l’assenza maschile nella quotidianità di donne private dell’altro da sé), e soprattutto nel momento in cui ci si rende conto che sono le donne libere le vere recluse, incatenate concettualmente a una dittatura maschile che continua a essere virtualmente esercitata dai carcerati.»
Maria Francesca Stancapiano, Liminateatri
«Il Colloquio è un testo drammatico imbastito, però, con quell’ironia tagliente che soltanto il teatro napoletano sa restituire. La risata amara e la compassione – per ogni gesto e ogni parola della messinscena – si alternano con grande equilibrio sul palcoscenico. C’è, poi, uno studio attento della realtà di Napoli che ricorda quella di Enzo Moscato in Scannasurice o in Occhi gettati. La lingua napoletana arriva comprensibile come l’italiano ed è scandita da una straordinaria musicalità che rimanda all’attesa di tre donne maritate di fronte al carcere della città partenopea. La scelta che siano tre uomini a interpretarle serve a creare un distacco dalla quotidianità napoletana per permettere allo spettatore di “provare” compassione, ma ricordando tuttavia che si trova in teatro, un luogo dove tre personam (tre maschere) raccontano.»
Enrico Pastore, Rumor(S)cena
«Un’ottima interpretazione capace di legare la tradizione del teatro napoletano proiettandola verso un futuro possibile, non solo nel rinnovarne i soggetti, ma innestandovi influenze cinematografiche (si pensi a Ciprì e Maresco per esempio) con ricerche teatrali contemporanee (Emma Dante, vincitrice anch’essa del Premio Scenario e già maestra riconosciuta,
ma non solo).»
Mario Bianchi, KLP Teatro
«Il progetto più compiuto nella sezione Periferie, giustamente premiato, è Il Colloquio del Collettivo LunAzione, sempre di Napoli, con la regia di Eduardo Di Pietro, segno anche questo di come la scena del Sud sia foriera di molti stimoli (di sei progetti ben cinque sono campani in questa edizione), per mezzo di una drammaturgia corale che urla il disagio di una terra abbandonata. Nello spettacolo tre donne, non a caso interpretate da uomini, sono in coda, a Poggio Reale, per parlare con i propri mariti che vi sono detenuti. È una commedia, si ride molto ma amaramente, in un mondo dove i maschi non esistono e dove le sofferenze della vita di ogni giorno, accompagnate dal concerto per violino di Mendelssohn, si proiettano sullo spettatore.»
Renato Aiello, Ragguagliami
«La felice intuizione dell’opera sta proprio nell’aver raccontato un trittico femminile con interpreti maschili, fisici, a tratti violenti, e in un momento persino proponendo un colloquio di “prova” in cui la più naif delle tre si confronta col compagno galeotto e con la guardia giurata inflessibile.»
Arianna Esposito, Linkazzato
«Il regista Eduardo di Pietro ci conduce con veemenza in quello che è il microcosmo del mondo dei detenuti, visto stavolta dalla parte di chi rimane fuori in attesa per mesi, anni, dalla parte di chi prova a resistere. In scena si alternano toni ironici, caricaturali con quelli più violenti della disperazione che porta allo scontro fisico, agli istinti primordiali.»
Sara Formisano, Fortementein
«Ciascun personaggio sembra essere cucito a pennello sulla fisicità dell’attore e tutti e tre usano in modo efficace il corpo, la voce e la gestualità per raccontare non solo esempi di donne reali ma le loro vite, il mondo da cui vengono e le speranze che portano con sé.»
Amedeo Junod, Il Riformista
«Grande il successo di pubblico e di critica riscosso da Il Colloquio, che il 12 luglio, nell’incantevole scenario del giardino romantico di Palazzo Reale, ha raccontato con lucida ironia il dramma del carcere, scegliendo un punto di vista originale e coraggioso.»
Jessica Muca, Eroica Fenice
«Il lavoro del regista Eduardo Di Pietro mostra grande studio e sensibilità verso l’argomento trattato e ciò rende ancor più piacevole l’esperienza di vedere Il Colloquio.»
Alessandro Toppi, La Repubblica
«Così stanno infine, come creature fragili, dopo aver detto (a sé stesse prima che a noi) quanto fa male rendersi conto della felicità a cui hanno progressivamente rinunciato: regalandoci una tra le immagini più intense, più umane e più amare del festival.»
Pina Stendardo, Il Monito
«Il Colloquio è uno spaccato di un mondo esistente e pieno di sfumature, raccontato tante volte, ma sempre “forte”, soprattutto per le nuove generazioni che si accostano al teatro.»
Simona Frigerio e Luciano Uggè, In The Net
«Buono il ritmo che scandisce climax e anticlimax, con due momenti di violenza agita a passo di una danza maori, in cui l’atto si sublima – come ha senso fare in arte e a teatro. Musiche e luci puntuali. Momenti corali e individuali che trascorrono con agilità, tra rimpianti e recriminazioni, poche memorie felici e un sostrato doloroso che, nella prima parte, si accende con le battute pungenti per brevi risate liberatorie. »
Motivazione della giuria
Nella liminalità di un’attesa che è condivisione di un tempo sospeso, tre donne si contendono un territorio ristretto, dove i legami spezzati dal carcere si riflettono inesorabilmente in una reclusione altra, introiettata eppure reale.
Fra legami negati e solidarietà imposta, Il Colloquio è la fotografia spiazzata e spiazzante di un’antropologia indagata nelle sue ragioni sociali e culturali profonde e apparentemente immodificabili, dove il femminile è restituzione di un maschile assente e quindi fatto proprio, con efficace scelta registica, da tre attori capaci di aggiungere poesia all’inesorabilità di storie già scritte e aprire spiragli onirici imprevisti.
AVE
Una comunità sconvolta
dal sogno di un parrucchiere
Maurilio di Stefano, Il Foyer
«Gli elementi della commedia napoletana non mancano: le colorite uscite in dialetto che fanno sorridere il pubblico, la cifra da gettare nel pozzo bisbigliata sempre all’orecchio, la presenza trascendentale intravista nei presagi soprannaturali – luci che saltano tutte insieme e fon che si spengono da soli. Il tutto sul sottofondo divertente e frenetico di musica suonata al violino. […] Un teatro tutto sommato veloce, di ottimo intrattenimento, che riesce a chiudere con una riflessione che ad averne voglia può davvero dare molto da pensare: Quanto è profondo questo pozzo…»
Benedetta De Nicola, La Testata magazine
«AVE è uno spettacolo da vedere e commentare, AVE è un po’ ironico, un po’ dolce, AVE è curato. AVE è un po’ come le donne che vanno da Cesare a farsi i capelli la domenica, AVE è gli attori che lo compongono.»
Pamela Cito, Napoliflash24
«Simpatiche e grintose le donne di questo spettacolo, Martina Di Leva, Giulia Esposito, Cecilia Lupoli e Monica Palomby. Il ritmo veloce che le tre clienti portano sulla scena con il loro movimento e le storie scanzonate, sono controbilanciate dall’introspezione e dal silenzio di Titta, moglie di Cesare, sua unica spalla. Il rosa antico invade la scena evidenziando i simboli di una storia di ordinaria follia paesana. Una storia che vuol indagare l’animo umano, simile al pozzo di quel paese, dove riconoscimenti e dolori si intrecciano fino ad annegare nel ricordo pur di lasciare spazio ad un domani che di certo ha la speranza di chi ricomincia dal bello che la vita gli ha donato.»
Serena Di Giovanni, Periodico Italiano Magazine
«L’inizio è allegro e coinvolgente, con quattro donne completamente rapite dalle capacità professionali, ma anche psicologiche, del bravo coiffeur, disponibile a svolgere un ruolo di sostegno delle proprie clienti, aiutandole ad affrontare le loro insicurezze.»
JAMAIS VU
In ognuno di noi si nasconde
un aspirante terrorista
Emanuela Ferrauto, Dramma.it
«Il testo, in conclusione, sceglie un’atmosfera accattivante che coinvolge e cattura il pubblico attraverso i dialoghi serrati, l’utilizzo del corpo e di specifici meccanismi scenici.»
Maria Balsamo, Eroica Fenice
«Si ride, si piange, si riflette seduti davanti al palco. La recitazione di Eduardo Di Pietro, Giulia Esposito, Vincenzo Liguori, Gennaro Monforte e Laura Pagliara è una rappresentazione scenica delle varie tipologie di scarti della società contemporanea. Donne e uomini che si sono sentiti traditi dall’esistenza, dai sogni che hanno coltivato e che rappresentano il motore della loro vita. La comicità delle battute è espressa attraverso fraseggi in dialetto napoletano e intrecci e incomprensioni di parole. La riflessione si mescola alla risata in un continuum dinamico e coinvolgente. I colpi di scena sorprendono lo spettatore confondendogli le idee. L’immedesimazione è necessaria e la spinta emotiva ci permette di comprendere quanto possa essere concreta la possibilità di una sorte avversa.»
Benedetta Bartolini, Il Mezzogiorno.info
«Dal punto di vista drammaturgico Di Pietro impiega in modo funzionale la lingua, dividendo il ruolo dei protagonisti, che parlano con l’accento dialettale perché persone comuni, dal loro “cuore”, che invece “pare il Treccani”. Il testo è attraversato da una vena comica che esalta la paradossalità della storia, lasciando il giusto spazio al tono drammatico che avanza nella seconda parte e che ci trasporta nelle tragedie dei protagonisti.»
Marianna Addesso, iNPlatea
«Nonostante le premesse possano sembrare drammatiche, lo spettacolo volge al comico grazie anche alla goffaggine di Bond e ai piccati botta e risposta tipici di una coppia sposata da anni. Soltanto la ricercatrice sembra non scendere mai dal piedistallo e resta sospesa tre metri spora tutti, anche se è palese che è lei quella che forse ha perso più di tutti. La morte di un figlio o il gesto estremo di vendere parti del proprio corpo per tentare di risanare il bilancio certamente non possono essere paragonati al sorpasso in un concorso ad opera della solita raccomandata di turno, eppure, di certo cinicamente, l’empatia verso chi ha perso la dignità è più sentita ed ecco che colei che appare algida rivela il risvolto più fragile e drammatico.»
Antonio Indolfi, Quarta Parete
«Storie comuni da un presente difficile in cui la piramide del censo va allargandosi a dismisura nella sua base più umile, restringendosi all’inverosimile nella punta; storie su cui Jamais vu ha il merito di soffermarsi col sorriso sulle labbra provando ad instillare nello spettatore l’insidiosa domanda “quando è diventata infelice la vita?”, senza per questo aggiungervi ulteriore tedio o infelicità e senza, allo stesso tempo, suggerire risposte di maniera. Non ha sbagliato affatto, pertanto, chi tra lunedì e martedì si è recato al Castel Sant’Elmo per assistere alle due repliche. Risate amare ed interessanti spunti sono stati il giusto premio ai fortunati che vi hanno potuto assistere, i quali non hanno mai corso il rischio di addormentarsi nonostante l’orario quasi improponibile scelto per questi turni serali del Fringe.»
TROILO E CRESSIDA
Storia tragicomica di eroi e di buffoni
Angelo Capasso, I-Cult
«Quella messa in scena dal Collettivo LunAzione per la regia di Eduardo di Pietro è una storia che con estro immagina un atto estremo compiuto da persone ormai allo stremo. Sul palco Mario Autore, Giulia Esposito, Michele Iazzetta, Cecilia Lupoli, Giulia Musciacco e Alessandro Paschitto danno voce e corpo con credibilità e stile ai sei personaggi in cerca di ricordo. Le musiche e le luci riempiono una scenografia scarna, senza sovrastare l’intreccio narrativo e anzi sono parte integrante della rappresentazione.»
Francesco Pipitone, Vesuvio Live
«I cinque (Mario Autore, Annalisa Direttore, Alessandro Paschitto, Michele Iazzetta, Cecilia Lupoli; Martina Di Leva veste i panni di Tersite) dimostrano di sapersi muovere egregiamente nel meccanismo, mettendo a nudo l’essenza della recitazione e dell’essere umano, ovvero la capacità di essere uno, nessuno e centomila. La bravura individuale di questi giovani che suggerisce di essere talento, poiché lontana da egoismi e capace di coordinarsi con quella degli altri, tanto che spesso si ha la sensazione di trovarsi quasi ad assistere a una danza, pure grazie ai movimenti studiati e agli intermezzi musicali. Una performance mai banale o noiosa, ma sempre incalzante, piacevole, coinvolgente, che instaura un rapporto diretto con il pubblico, che sbriciola la quarta parete. Più volte, mentre assistevo, mi sono chiesto: cosa accadrebbe se adesso mi alzassi e mi mettessi a recitare con loro?»
Cosimo di Giacomo, Eroica Fenice
«Lo spettacolo si inserisce in maniera organica nella balaustrata che circonda l’altare, le suggestioni di luci e l’alternarsi di musiche techno hanno portato gli spettatori a godere dalla forza della passione al disgusto per gli inganni delle guerre che fanno parte della sfera dell’umana vita. […] Un’escamotage legato all’arte del bodypainting ha permesso con figure iconiche di dare allo spettatore una prima e veloce chiave visiva per riconoscere i protagonisti, che ben hanno legato e giocato con la scena, priva di tutto, fuorché dei preziosi marmi di Sant’Aniello a Caponapoli.»
Erica Chiappinelli, Linkazzato
«La straordinaria maestria degli attori nell’interpretare ruoli diversi che si alternano sulla scena – ognuno di loro, escluso Tersite, interpreta due personaggi, uno troiano e l’altro greco – permette al pubblico di non perdere mai il filo del discorso.»
Riccardo Limongi, Teatro.it
«La scenografia si riduce ad un circolo, che da solo basta a creare l’illusione tra scena e quinte e a delimitare interni ed esterni. Un circolo che ricorda un’arena, o una lente d’ingrandimento che metta a fuoco le pieghe psicologiche dei singoli. Su tutto campeggia il colore rosso, il rosso del sangue e delle passioni che in esso fluiscono. La bravura degli attori, che hanno unito ad arte recitazione ed espressività corporea, si rivela soprattutto nel passaggio da un personaggio all’altro. La caratterizzazione perfetta e i dialoghi ben costruiti lo rendevano evidente nonostante esso fosse comunicato visivamente da segni tracciati sul corpo e legati ad una precisa simbologia.»
Monica Iacobucci, Spaccanapoli
«Una messa in scena cruda e sincera, che si pone l’obiettivo di essere talmente essenziale da polverizzare sul palco desideri e speranze che si tramutano in piccoli origami di carta che sfuggono di mano ai protagonisti, così come sfugge loro di mano il proprio destino.»
Bianca Coppola Melon, Il gufetto
«La compagnia teatrale Collettivo LunAzione, che vede dei giovani attori, autori e registi di talento, è riuscita con energia e autenticità, a rappresentare storie e drammi d’altri tempi, che se da una parte hanno un sapore antico, dall’altra conservano intatte le problematiche e i controsensi che dominano il nostro presente.»
Davide D’Antonio, My Dreams
«La regia di Autore e Di Pietro è semplicemente geniale. Con pochi elementi scenografici, pochi oggetti e ancor meno costumi, ma con tantissima inventiva e giuste trovate sceniche, riesce a ritrovare il vero spirito del teatro elisabettiano e a restituire il senso profondo del dramma. In questo spettacolo il segno smette di rappresentare e diventa narrazione. Riguardo agli attori-acrobati, ci troviamo di fronte a un gruppo di giovani talenti versatili, capaci di giocare sulla scena, mostrando grande padronanza fisica e vocale, abili nel caratterizzare precisamente i doppi ruoli a ciascuno assegnati.»
Daniele Rizzo, Persinsala
«Proprio questo è il caso dell’interessante riscrittura del Collettivo LunAzione di Troilo e Cressida, tragedia esemplare della potenza shakesperiana e nel mescolare atmosfere e linguaggi eterogenei, nonché testo conforme alla contemporaneità – citato anche dal filosofo pop Slavoj Žižek (In difesa delle cause perse) – per la demolizione – attraverso un pensiero debole – di categorie ideali quali l’onore, l’amicizia, la famiglia, l’amore e la patria. Scelta audace, ma non ardita, viste le qualità mostrate durante la messa in scena: variazioni di registro interpretativo, costruzione scenografica di grande impatto, ritmi sincopati e ricerca dell’armonia scenica sono presupposti notevoli e di cui l’allestimento, nel suo complesso, ha altamente beneficiato.»
Fabio Montemurro, La Platea
«La messa in scena visivamente minimale ma recitativamente dettagliata del Collettivo LunAzione riportano alla sua più perfetta attuale incarnazione mantenendo l’aspetto tragico ma ponendo l’accento sull’assurdità di tutta la situazione e mettendo in luce la causticità e il messaggio di forno che furono prima di Chaucer e poi di Shakespeare.»